Questo articolo è un riassunto della bellissima chiacchierata che Chiara Battaglioni e io abbiamo fatto insieme in una diretta su Instagram a dicembre 2021.

Chiara Battaglioni è una professional organizer: allena professionistə per aiutarlə a migliorare le capacità organizzative e a gestire le risorse limitate: spazio, tempo ed energie, e a volte anche il denaro. 

Un paesaggio invernale: il cielo grigio e la neve bianca. In basso a destra una casina grigia e nera. Un banner dice "Prendersi e farsi spazio"

Cosa significa avere e prendere spazio

Nei giorni precedenti la diretta, Chiara ed io abbiamo chiesto a chi ci segue su Instagram di dare la loro definizione di spazio.

È emersa un’immagine dello spazio sia come spazio fisico – l’ambiente in cui viviamo: la casa, l’ufficio, lo studio, ecc-, ma anche un’immagine più mentale – una sorta di spazio-tempo – e soprattutto chi si riferiva a questo spazio-tempo ha parlato anche di solitudine, dello spazio per me.

Nei percorsi di counselling e meditazione spesso una delle richieste o delle difficoltà è proprio quella di trovare lo spazio e e il tempo (per la meditazione, o per gli incontri), che diventa quindi uno spazio-tempo che viene riconosciuto come importante e protetto.

Lo spazio per me è uno spazio personale, di crescita, in cui non succede nulla che non vogliamo succeda.

Uno spazio che deve essere cercato, progettato e anche comunicato agli altri.

Il bisogno di avere spazio deve essere riconosciuto prima di tutto da noi stesse, in questo modo, una volta trovato, riusciamo a proteggerlo dagli altri, che anche inconsapevolmente possono disturbarci (anche banalmente aprendo la porta della stanza in cui stiamo meditando).

Chiara ci ha raccontato come lei e il suo compagno abbiano progettato lo spazio per il suo progetto lavorativo, decidendo di dedicare una delle stanza della casa al suo studio, rinunciando al secondo bagno. 

È importante pensare ai nostri bisogni e tenere presente che le risorse sono limitate: ci ritroveremo a fare le nostre scelte con le priorità chiare e quindi più serenità.

Lo spazio sottovalutato

Spesso si sottovaluta l’aspetto dello spazio, anche in organizzazione.

Quando si parla di lavoro di solito si va subito sul tempo: la gestione del tempo, o dei flussi di lavoro.

L’impatto che lo spazio fisico ha sul nostro lavoro è importante, e spesso dovrebbe essere preso in considerazione come primo elemento. 

Uno dei primi consigli che Chiara dà a chi dice che vuole cambiare il suo modo di lavorare è “guarda dove lavori”, e noi possiamo applicarlo a qualsiasi altro contesto. 

Lo si può fare da due punti di vista

  1. La funzionalità.
    Com’è organizzato lo spazio? Hai la possibilità di avere a portata di mano le tue cose? Puoi tenerlo in ordine? Ti ci muovi comodamente?
  2. Le emozioni.
    Come ti senti in quello spazio? Stai bene? Ti concentri bene? Sei a tuo agio? 

Ludwig Mies van der Rohe, architetto e designer tedesco, in una parte della lettera che scrive a Walter Riezler dice:

La forma come scopo sfocia sempre nel formalismo. Infatti questo sforzo si rivolge non verso un interno bensì verso un esterno. 

Solo un interno vivente ha un esterno vivente. 

Solo un’intensità di vita ha un’intensità di forma. 

Ogni come è sostenuto da un che cosa, ciò che è privo di forma non è peggiore di ciò che ha un eccesso di forma. Il primo è nulla, il secondo è apparenza. 

Una forma reale presuppone una vita reale.

Un passo molto intenso, che ci sottolinea come ci sia assoluta comunicazione tra spazio per sé e spazio condiviso, tra dentro e fuori, tra sé e gli altri.

Quando ci si prende spazio per sé si può poi sperimentare il prendersi spazio anche fuori.

Un percorso interiore è efficace quando ha una ricaduta all’esterno e non resta nella bellezza dell’ascolto di sé per sé.

Un cambiamento può avvenire dall’interno, ma è tale solo quando i pensieri diventano comportamenti ed emozioni, altrimenti è solo un gioco mentale di immaginazione.

Il carico mentale ci toglie spazio

Il carico mentale (ne ho parlato anche in un articolo su C+B) è tutto l’insieme di pensieri di cose che dobbiamo fare.

Mentre stiamo al lavoro ci si accendono mille lampadine di cose che dobbiamo fare a casa e viceversa, e quando stiamo facendo una cosa ce ne vengono in mente altre cento che dobbiamo ancora fare. 

Bluma Zeigarnik, psicologa e psichiatra, ha osservato che il nostro cervello tende a ricordare più facilmente tutte le attività iniziate e non concluse (cose da fare, responsabilità che hai sulle spalle, eventi da tenere a mente), e a riproporle continuamente senza un ordine preciso finché non vengono gestite.

Per liberare, almeno in parte, la mente da questo carico bisogna scoprire tutte le attività non gestite e osservarle. In questo modo si può riprenderne il controllo e ricentrarsi sulle priorità.

È anche l’unico modo per diventare persone (più) organizzate.

Avendo tutto ciò che dobbiamo fare davanti agli occhi possiamo osservarlo, ordinarlo e organizzarlo come meglio crediamo. Se non lo vediamo non possiamo fare nulla.

Possiamo anche prendercene cura in un momento diverso da quello immediato in cui ci sono comparse, senza temere di dimenticarcene.

Possiamo decidere di fare, non fare, o delegare.

Altrimenti tutto il carico mentale ci annebbia il pensiero, ed è come guidare nella nebbia: si arriva comunque dove si deve andare, ma con molta più fatica e stress, e magari anche in ritardo.

Dal carico mentale alla delega

Dalla chiarezza sul carico mentale arriva anche la chiarezza su cosa possiamo fare, cosa possiamo non fare, cosa possiamo delegare.

Non sempre la delega è all’esterno, a volte possiamo semplicemente chiedere aiuto a qualcuno della famiglia: ə bambinə e lə partner possono essere alleatə molto importanti, soprattutto all’inizio.

La delega è uno degli strumenti dell’organizzazione, ma prima di tutto ci vuole la consapevolezza.

Chiediamoci:

  • Come sta andando ora? 
  • Quali sono i punti di forza e i punti deboli? 

Lavoriamo su quelli e da lì partiamo per cercare gli strumenti giusti.

In questi due anni ci siamo continuamente adattatə alle circostanze, mettendo in atto tutti i meccanismi di resilienza che possediamo, ma non abbiamo avuto il tempo di fermarci a capire dove siamo, dove stiamo andando e come siamo cambiatə. Se iniziamo a organizzarci senza osservare il dato di fatto rischiamo di organizzare una realtà che non c’è già più.

Delegare

Per Chiara delegare è un allenamento che inizia dalla consapevolezza: bisogna avere chiarezza su cosa si vuole, cercare la persona giusta – e a volte non è buona la prima -, spiegarle cosa deve fare, darle tutti gli strumenti, verificare e dare feedback. Proprio come quando si impara una lingua straniera, o un’attività sportiva.

Se ci viene la tentazione di dire “troppa fatica, faccio io” possiamo pensare che il risultato finale è talmente tanto alto che ne vale la pena.

Se sei come Chiara ti piace fare e imparare a fare quasi tutto, la difficoltà è quindi cedere anche qualcosa che ti piace fare, la bellezza è che poi ti restano solo le cose che ti piacciono di più e ti riescono meglio.

Il suggerimento è di iniziare a delegare per settori, inizialmente con piccole incombenze e solo quando il risultato ci soddisfa aggiungere qualcosa. 

Identificare le attività da delegare in modo preciso ci ripagherà con un guadagno elevatissimo in termini di tempo e serenità. 

È vero che sembra complicato, ma se non si inizia non ci sarà mai un momento in cui saremo più libere, in cui avremo più spazio per noi.


Grazie a te per aver letto questo articolo, e a Chiara per la generosità!

Trovi Chiara nel suo sito web e nel podcast Work Better.

Puoi lavorare con lei nel corso online “Palabàn” per progettare un’efficace gestione del tempo e delle attività e leggere il suo ebook “Il mio ufficio in casa – Organizzazione a portata di freelance” dedicato allo spazio di lavoro.

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